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Il DM attuativo del pegno non possessorio

PREMESSA

 

Intorno agli anni ‘90, la dottrina cominciava a teorizzare una particolare operazione negoziale, già presente da anni sul mercato. Accadeva che, nelle operazioni di finanziamento, a garanzia della restituzione del debito venissero dati in pegno dei valori che dovevano essere sostituiti nel corso del rapporto creditizio, prima quindi che terminasse l’esposizione debitoria. Principalmente, si trattava di titoli di debito (es., BoT) od obbligazionari, la cui scadenza (e correlato rimborso) imponeva l’esigenza di acquistare nuovi titoli da sottoporre a garanzia.

L’autonomia privata aveva quindi configurato un unico rapporto di garanzia, con la previsione della facoltà di sostituire quanto oggetto della medesima, nel corso dello stesso rapporto.

Le difficoltà sorsero in sede giudiziaria, dacché inizialmente non si accettava che il pegno potesse sopportare la modifica del suo oggetto, senza conseguenze. In particolare, era verosimile sostenere che, modificato l’oggetto della garanzia (per es., sostituzione dei titoli rimborsati per scadenza con nuovi titoli emessi), ne venisse modificato anche il titolo della medesima, con la nascita di un nuovo pegno (con devastanti effetti per i creditori, dovendo ritenere sorto il diritto di prelazione non al momento della costituzione del pegno originario, ma via via al tempo della sostituzione dell’oggetto).

Dal 1998, la Corte di cassazione cominciò però ad ammettere (secondo varie sfumature che si leggono nei pronunciati) questa operazione negoziale, anche e soprattutto alla luce della teorizzazione innanzi indicata.

Si parlava, e si parla, in questi termini, di pegno rotativo.

Il pegno rotativo, comunque, giace su un piano autonomo rispetto a quello del pegno non possessorio, di cui si parlerà qui brevemente1.

 

IL PEGNO NON POSSESSORIO

 

Per “pegno non possessorio” si potrebbe intendere il diritto (ed il relativo rapporto) di un soggetto di essere preferito nella distribuzione del ricavato (o direttamente di appropriarsi della cosa previa valorizzazione, in caso di incameramento) dalla alienazione di uno o più beni2, individuabili al momento dell’escussione del pegno (meglio, al momento della notificazione dell’intimazione di cui all’art. 1, comma 7 D.L. 59/2016)3.

 

Il pegno non possessorio si distingue dal pegno (e, quindi, a prescindere dalla presenza della clausola di rotatività) perché, in primo luogo, non appare propriamente un diritto reale. Infatti, la realità si manifesta (immediatezza, inerenza e assolutezza) nel diretto rapporto tra situazione giuridica e res. E non è tanto la mancanza del possesso materiale a far deporre per questa conclusione (diversamente, anche per il diritto di ipoteca si dovrebbero aver dubbi, senza dimenticare che in dottrina sono stati comunque manifestati) quanto il fatto che, fino al momento dell’escussione del pegno, manca l’oggetto del diritto reale.

Il rapporto reale sussiste quando sia certo il termine di riferimento, ossia la res (anche se immateriale). Tuttavia, quando il rapporto giuridico non esclude6 che il costituente la garanzia possa «trasformare o alienare, nel rispetto della loro destinazione economica, o comunque […] disporre dei beni gravati da pegno», ciò dovrebbe significare che non sussiste certezza rispetto al termine di riferimento del preteso diritto reale di pegno (non possessorio).

Ciò, mi pare, implica l’allontanamento dal concetto dei diritti reali, per arrivare in quelli meramente assoluti, ma non reali. L’assolutezza, del resto, è garantita dall’iscrizione del pegno nel registro dei pegni non possessori (art. 1, comma 4 D.L. 59/2016).

Si badi, peraltro, che fintantoché non si proceda all’iscrizione, il pegno – come rapporto giuridico fra le parti, debitore, eventuale terzo datore e creditore – nasce sin dal momento del perfezionamento dell’atto scritto (art. 1, comma 3 D.L. 59/2016).

 

Pertanto, trattasi:

- sino all’iscrizione nel registro dei pegni non possessori (d’ora in avanti, anche RPNP), di diritto relativo del creditore nei confronti del debitore e dell’eventuale terzo datore, avente a oggetto i poteri previsti per il creditore da questa disciplina speciale e, in quanto compatibile, dalle disposizioni del Codice civile (art. 1, comma 10-bis D.L. 59/2016), con la precisazione che si tratta dei soli poteri che non presuppongono l’opponibilità ai terzi della situazione giuridica né il possesso del creditore (trattandosi in questo caso di pegno non possessorio);

- dal momento dell’iscrizione nel RPNP, di diritto assoluto del creditore, nei confronti di qualsiasi terzo, avente a oggetto tutti i poteri previsti dalla disciplina speciale e, in quanto compatibile, dalle disposizioni codicistiche;

- dal momento dell’intimazione di cui all’art. 1, comma 7 D.L. 59/2016, può discutersi se debba parlarsi di diritto reale sorto sopra le res oggetto di cristallizzazione, ovvero più semplicemente di un vincolo reale oramai processuale (come ad es. nel caso di pignoramento di beni in sede esecutiva), cui corrispondono facoltà e doveri del creditore non come espressione del suo diritto reale, ma quali strumenti “paraprocessuali” che l’ordinamento mette a disposizione del creditore per la soddisfazione del suo credito.

 

Ciò brevemente detto sulla possibile natura giuridica del pegno non possessorio, e fermo restando che sotto il profilo pratico può essere maggiormente d’aiuto l’esposizione della disciplina, si passa qui a delineare l’istituto.

 

Anzitutto, il pegno non possessorio può essere costituito solo da imprenditori iscritti nel Registro delle Imprese (art. 1, comma 1 D.L. 59/2016). Nel decreto attuativo, tuttavia, viene richiesta l’iscrizione nel Registro delle Imprese anche per il debitore, quando diverso dal datore (art. 3, comma 2, lettera c) D.M. 114/2021).

Poiché non si fa rinvio agli imprenditori soggetti a iscrizione (art. 2195 c.c.), riterrei che chiunque esercente attività di impresa, che si trovi iscritto nel Registro delle Imprese, possa costituire il pegno non possessorio.

 

Il pegno non possessorio può garantire solo crediti inerenti all’esercizio dell’impresa (art. 3, comma 2, lettera q) D.M. 114/2021). Per questo motivo, quand’anche il terzo datore costituisca un pegno non possessorio a garanzia di un debito altrui, il debitore deve esercitare attività di impresa o, almeno, deve trattarsi di debito inerenti all’esercizio di impresa. Invece, non appariva scontata la necessità che anche il debitore, ove diverso dal datore, fosse iscritto nel Registro delle Imprese. Si pensi agli eredi (debitori) di un imprenditore individuale defunto, non iscritti nel Registro delle Imprese, che vogliano vedersi garantito, mediante pegno non possessorio concesso da un terzo imprenditore, uno dei debiti inerenti all’esercizio dell’impresa del loro de cuius.

 

Possono essere garantiti i debiti del costituente o anche di terzi, salva la precisazione sopra fatta.

 

I crediti garantiti devono essere determinati o almeno determinabili. Se futuri, deve comunque esistere il rapporto giuridico dal quale potrà sorgere il credito futuro (così, ex art. 3, comma 2, lettera h) D.M. 114/2021). Pertanto, non potrà costituirsi (o meglio, non potrà iscriversi, quand’anche si ritenga civilisticamente ammissibile) un pegno non possessorio a garanzia di un credito (per es., pagamento fornitura) per un rapporto che ancora non esiste (es., fornitura che sarà stipulata fra un anno).

 

In ogni caso, dovrà essere indicato l’importo massimo garantito (art. 3, comma 2, lettera g) D.M. 114/2021). Ciò appare di fondamentale importanza, dato che – tecnicamente – è proprio l’importo massimo garantito il termine di riferimento di questa situazione giuridica. Infatti, dal momento che non esiste certezza rispetto all’oggetto del diritto fintantoché non avvenga l’intimazione per l’escussione del pegno, ne risulterebbe che il creditore potrebbe soddisfarsi fino al valore dei beni sui quali si concretizzi la cristallizzazione, nonostante (per ipotesi) tale valore risulti superiore rispetto a quello dei beni come determinabili al momento della costituzione della garanzia (insomma, con un carattere aleatorio del rapporto difficilmente spiegabile)4.

 

Relativamente ai beni oggetto del pegno non possessorio, l’art. 1, comma 2 D.L. 59/2016 dispone che il medesimo possa essere costituito su:

- beni mobili (materiali o immateriali) destinati all’esercizio dell’impresa (v. art. 3, comma 2, lettera q) D.M. 114/2021);

- crediti derivanti dall’esercizio dell’impresa;

- crediti inerenti all’esercizio dell’impresa.

Sono invece esclusi i beni mobili (materiali o immateriali) registrati11.

Non mi sembra chiara la distinzione tra credito derivante dallo, e credito inerente allo, esercizio dell’impresa. Forse, si è voluto intendere per:

- credito derivante dall’esercizio, qualsiasi credito al prezzo o corrispettivo per la produzione e lo scambio di un bene o servizio;

- credito inerente all’esercizio, qualsiasi credito diverso dal primo (es., un credito al risarcimento del danno derivante da responsabilità di terzi che abbiano menomato il patrimonio servente all’impresa).

Si potrebbe verosimilmente concludere trattarsi di un’endiadi, dal momento che ci si riferisce ad un concetto unitario, ossia quello di credito che comunque ha a che fare con l’esercizio dell’impresa (e, a tal proposito, mi sembrerebbe maggiormente esplicativo il concetto di credito inerente all’esercizio dell’impresa)5.

 

Ancora relativamente ai beni oggetto di pegno, questi possono essere presenti o futuri (art. 1348 c.c.).

In relazione a questi ultimi, aderendo alla tesi che il pegno non possessorio non è un diritto reale, come sopra brevissimamente accennato, ne deriva che la costituzione del medesimo e la sua iscrizione nel RPNP non producono meri effetti obbligatori con efficacia reale differita (ossia, la configurazione tipica delle vicende reali aventi a oggetto beni futuri), ma fanno conseguire la nascita dello stesso diritto assoluto in capo al creditore. L’unica differenza, rispetto a beni futuri, sarà ben vero nella circostanza che, ove la cristallizzazione si abbia al momento in cui il bene futuro ancora non sia venuto ad esistenza, ne conseguirà l’inesistenza di qualsiasi vincolo reale (salvo comunque verificare se non si possa ritenere sussistente il medesimo almeno sul materiale servente alla produzione, se lo stesso sussista chiaramente).

 

Inoltre, i beni possono essere determinati o determinabili. La determinabilità è disposta secondo i criteri scelti dalle parti ma si precisa che uno dei criteri possa essere il riferimento a una o più categorie merceologiche (es., la produzione di magliette in cotone del primo trimestre 2025) ovvero a un valore complessivo (es., il magazzino aziendale fino a 500.000 euro al valore FIFO).

 

Veniamo dunque al principale carattere del pegno non possessorio. L’art. 1, comma 2 D.L. 59/2016 afferma che «Ove non sia diversamente disposto nel contratto, il debitore o il terzo concedente il pegno è autorizzato a trasformare o alienare, nel rispetto della loro destinazione economica, o comunque a disporre dei beni gravati da pegno».

In primo luogo, viene adottato un meccanismo di opt-out. Qualora nulla sia detto, infatti, si applica la regola dell’autorizzazione alla disposizione dell’oggetto del pegno.

 

Come si anticipava in nota, mi pare che, qualora sia negata qualsiasi possibilità di passaggio del pegno da un bene ad un altro, si possa (e debba) optare per la ricostruzione del pegno non possessorio (nel caso concreto) come diritto reale. In effetti, si potrebbe discutere se la sola autorizzazione alla trasformazione del bene consenta ancora di parlare di diritto reale oppure no. La scelta dovrebbe, a mio avviso, dipendere da ciò:

- se si afferma che la trasformazione comporti la sostituzione dal precedente al nuovo bene, ne dovrebbe conseguire che – non essendoci certezza del termine di riferimento oggettivo del diritto – non si possa parlare di diritto reale (per il ragionamento sopra esposto);

- se, invece, si afferma che la trasformazione non comporti la sostituzione dal precedente al nuovo bene (dovendosi ritenere sempre uguale il bene), ne dovrebbe conseguire che – essendoci certezza del detto termine di riferimento oggettivo del diritto – si debba parlare di diritto reale.

Ragionandoci, il punto di discussione potrebbe dipendere da cosa si intenda per “trasformazione”. Ove, infatti, la trasformazione comporti la perdita delle originarie qualità essenziali di una cosa (es., assi di legno diventano un mobile), vieppiù se caratterizzata dalla combinazione con altri elementi (es., per la costruzione del mobile si usano anche materiali ulteriori rispetto alle assi di legno), mi sembra difficile sostenere che la cosa rimanga “sempre la stessa” e che, quindi, conseguentemente, si possa ancora parlare di diritto reale (dato che alla prima cosa se ne sostituisce un’altra, dopo la trasformazione).

 

Comunque, posto che l’atto costitutivo del pegno non possessorio può prevedere diversamente (art. 3, comma 2, lettera p) D.M. 114/2021), la regola rimane la facoltà, per il costituente il pegno7:

- nel rispetto della loro destinazione economica, di trasformare i beni gravati da pegno;

- sempre nel rispetto della loro destinazione economica, di alienare i beni gravati da pegno;

- comunque, di disporre dei beni gravati da pegno.

 

Sebbene si potrebbe sostenere la distinzione tra un’alienazione rispettosa della destinazione economica di una res, da una non rispettosa, mi pare che la presenza della facoltà, comunque, di disporre dei beni gravati da pegno, includa quella di alienare nel rispetto della destinazione economica, facendo quindi perdere di senso la specificazione riportata.

 

A parte questo, si può affermare che nulla pare vietare che – inter partessi preveda nel titolo costitutivo l’obbligo di procedere alla trasformazione o alla disposizione di quanto dato in pegno, eventualmente ciò riposando sul fatto che queste operazioni generino valori maggiori a garanzia del creditore.

 

Il concetto di rispetto della destinazione economica, associato alla facoltà di trasformazione, deve indurre alla riflessione sul motivo del suo inserimento. Probabilmente, ciò che si voleva evitare era la facoltà di diminuire, invece che di aumentare, il valore dei beni dati in garanzia. Infatti, la trasformazione delle res in violazione della loro destinazione economica (si pensi alle assi di legno di prima: il costituente il pegno le trasforma, bruciandole rendendole cenere) dovrebbe comportare, di regola, la perdita di valore delle stesse.

Se questa considerazione appare giusta, tuttavia tale specificazione («nel rispetto della loro destinazione economica») non sarebbe stata però necessaria, a fronte di alcune regole, speciali e generali:

- già l’ultimo periodo dell’art. 1, comma 2 D.L. 59/2016 prevede infatti che «È fatta salva la possibilità per il creditore di promuovere azioni conservative o inibitorie nel caso di abuso nell’utilizzo dei beni da parte del debitore o del terzo concedente il pegno» (e riterrei che una trasformazione in violazione della destinazione economica o che, comunque, comporti il deterioramento e quindi una modifica in peius della cosa gravata da pegno, possa ascriversi al concetto di abuso);

- l’art. 2795, commi 1 e 2 c.c., prevede (comma 1) il caso della vendita anticipata in caso di deterioramento della cosa, ovvero quello della sua sostituzione (comma 2);

- ancora più in generale, l’art. 2743 c.c. stabilisce che anche in caso di deterioramento della cosa data in garanzia, il creditore abbia facoltà di chiedere un supplemento di garanzia.

In ogni caso, la destinazione economica va specificamente dichiarata nella domanda per l’iscrizione nel RPNP (art. 3, comma 2, lettera l) D.M. 114/2021).

 

Ed ecco qui il perno del pegno non possessorio. Ove non sia negata la facoltà di trasformazione, alienazione o, comunque, di disposizione, viene previsto che «In tal caso il pegno si trasferisce, rispettivamente, al prodotto risultante dalla trasformazione, al corrispettivo della cessione del bene gravato o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo, senza che ciò comporti costituzione di una nuova garanzia».

L’essenza del pegno non possessorio sta quindi in questo: il pegno “si trasferisce”8 rispetto al bene originariamente dato in garanzia, senza che questa vicenda si possa inquadrare quale costituzione di una nuova garanzia. Da notare che questa conclusione (ammissibilità della sostituzione di un oggetto ad un altro, senza che ciò comportasse costituzione di una nuova garanzia) era considerata il carattere essenziale del pegno rotativo.

 

È affermato che la garanzia si trasferisce:

- sul prodotto risultante dalla trasformazione: a mio avviso, in linea con la circostanza che questa garanzia (di tipo flottante) può cristallizzarsi in ogni momento dopo la costituzione, e considerato che quando ha ad oggetto un bene esistente sussiste sempre una res sulla quale tale cristallizzazione può avvenire, ne consegue che il “passaggio” del pegno si ha costantemente, nelle varie fasi di lavorazione/produzione, senza che si debba attendere la realizzazione del prodotto finito. In altre parole, e ad es., ove siano date in garanzia assi di legno, la garanzia copre anche il momento in cui si ha di fronte non più assi di legno e non ancora il mobile finito (es., è stata realizzata solamente la struttura)9;

- sul corrispettivo della cessione del bene gravato: su questo, bisogna fare una riflessione. Se si tratta di una quantità monetaria, poiché il denaro è un bene fungibile, e poiché inoltre tendenzialmente il denaro viene depositato presso un istituto di credito (o, più semplicemente, la maggior parte dei pagamenti avviene mediante trasferimenti di fondi scritturali10), si tratterà del passaggio del pegno dal bene ceduto ad una parte del credito alla restituzione del danaro che il costituente vanta verso l’ente col quale intrattiene il rapporto di conto corrente;

- sul bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo: anche in questo caso, per collegare il bene sostitutivo al corrispettivo incassato con la cessione del bene originariamente dato in garanzia, si farà riferimento non al corrispettivo inteso come quelle banconote e quei pezzi metallici, quanto al corrispettivo inteso come il suo valore economico (bene ceduto per 200 euro; acquisto del bene sostitutivo per 200 euro).

 

Riguardo al caso della trasformazione, il Legislatore è intervenuto per disciplinare un caso particolare (art. 1, comma 2, quinto periodo D.L. 59/2016).

È stabilito che «Se il prodotto risultante dalla trasformazione ingloba, anche per unione o commistione, più beni appartenenti a diverse categorie merceologiche e oggetto di diversi pegni non possessori, le facoltà previste dal comma 7 spettano a ciascun creditore pignoratizio con obbligo da parte sua di restituire al datore della garanzia, secondo criteri di proporzionalità, sulla base delle stime effettuate con le modalità di cui al comma 7, lettera a), il valore del bene riferibile alle altre categorie merceologiche che si sono unite o mescolate».

In primo luogo, si fa riferimento al concetto di “inglobamento”.

Si esce quindi dal dettato normativo dell’art. 939 c.c. (che regola il modo di acquisto della proprietà per unione e commistione) e si deve affrontare il tema del significato dell’inglobamento.

 

Dal mio punto di vista, ai fini che interessano in questa sede, data la facoltà poi data a tutti i creditori pignoratizi ai sensi del periodo in esame, per inglobamento deve intendersi qualsiasi fatto che comporti l’inseparabilità (anche quando la separazione possa farsi, ma ciò comporti notevole deterioramento del prodotto finale) dei più beni appartenenti a diverse categorie merceologiche.

Pertanto, secondo me, ove siano dati in pegno (per es.) reti per materassi, da una parte, e materassi, dall’altra parte, e supponendo comunque trattarsi di differenti categorie merceologiche, realizzato il prodotto finale (un letto), se ne dovrebbe avere che non si applichi questa particolare regola, potendo benissimo separare ancora gli elementi che lo compongono.

 

La regola si applica anche quando la proprietà dei vari beni inglobati appartenga ad un unico titolare.

 

Guardando la disposizione, i presupposti della sua applicazione sono:

- il prodotto trasformato ingloba più beni;

- i beni appartengono a diverse categorie merceologiche;

- i beni sono oggetto di diversi pegni non possessori.

 

Quanto al primo presupposto, in sua mancanza non avrebbe senso questa regola.

Quanto al secondo presupposto, a ben vedere il fatto che i beni appartengano a diverse categorie merceologiche non sembrerebbe il motivo per cui è sorta la regola in esame. Se, infatti, sussiste inglobamento di più beni, sui quali insistono diversi pegni non possessori, della medesima categoria merceologica (es., insistono diversi pegni non possessori per il contenuto di ciascun magazzino di farina di una certa attività, e tutta la farina viene poi mescolata per prodotti da forno), tale circostanza comunque causa ai diversi creditori pignoratizi la necessità di risolvere il problema dell’imputabilità a quale pegno non possessorio, del prodotto finale trasformato.

Per tale motivo, riterrei possibile applicare la regola anche al caso in cui esistano più beni inglobati oggetto di diversi pegni non possessori, ma non appartenenti a diverse categorie merceologiche.

Inoltre, i beni devono essere oggetto di diversi pegni non possessori. Tendenzialmente, una regola deve applicarsi anche qualora vi siano diversi pegni non possessori ma a favore di un unico creditore. In questo caso, infatti, potendo variare l’importo massimo garantito per ciascun pegno, si avrà che quest’ultimo sarà l’importo previsto per il pegno di volta in volta escusso.

Si potrebbe indagare anche cosa accada quando su uno o più beni insistano pegni ordinari. Ipotizzando non si tratti di pegni rotativi (che comporterebbe ulteriore riflessione), se ne dovrebbe avere che la trasformazione del bene (o meglio, il suo inglobamento nel prodotto trasformato) comporti, anzitutto, l’applicazione delle ordinarie regole di cui all’art. 939 c.c. Da qui, dovrebbe poi seguirsi il principio di surrogazione12 ricavabile (per es.) dall’art. 2742 c.c., per cui il pegno si trasferisce, di volta in volta, su una quota di proprietà del prodotto trasformato (art. 939, comma 1 c.c.), ovvero sul credito nascente dalla vicenda (art. 939, comma 2 c.c.). D’altra parte, in tanto ciò è vero in quanto il pegno ordinario risulti opponibile al titolare del pegno non possessorio, il che avviene se le formalità prescritte per la prelazione (art. 2787 c.c.) siano state compiute prima dell’iscrizione del pegno non possessorio nel RPNP (art. 1, comma 4 D.L. 59/2016), e sempreché non sia avvenuto lo spossessamento (art. 2787, comma 2 c.c.).

 

Per i riferimenti al comma 7, si rinvia infra quando appunto si discuterà della disciplina.

 

Da notare che per le categorie merceologiche, da indicarsi nella domanda di iscrizione nel RPNP (art. 3, comma 2, lettera i), numero 7) D.M. 114/2021), dovrà attendersi un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate13.

 

Come anticipato sopra, va distinto il momento della costituzione inter partes del pegno non possessorio da quello della sua “trasformazione” in diritto assoluto, al momento dell’iscrizione nel RPNP.

 

Cominciando dalla costituzione, l’art. 1, comma 3 D.L. 59/2016 prevede: «Il contratto costitutivo, a pena di nullità, deve risultare da atto scritto con indicazione del creditore, del debitore e dell’eventuale terzo concedente il pegno, la descrizione del bene dato in garanzia, del credito garantito e l’indicazione dell’importo massimo garantito».

 

Si ricorda che l’atto scritto (i.e., la scrittura privata ex art. 2702 c.c.) non è identificabile esclusivamente con quello contenuto su supporto cartaceo (la carta), ma è altresì quello contenuto su supporto informatico, dovendosi distinguere il piano della forma verbale/scrittura privata/atto pubblico da quello del suo supporto (cartaceo/informatico). Lo conferma, tra l’altro, l’art. 20, comma 1-bis D. LGS. 82/2005.

 

Comunque, ai fini dell’iscrizione nel RNPN vale quanto stabilito dall’art. 3, comma 4 D.M. 114/2021, per cui non si può iscrivere il pegno se non quando il titolo costitutivo sia formato per atto pubblico, scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente ovvero per documento sottoscritto digitalmente, ex art. 24 D. LGS. 82/2005, o per provvedimento dell’Autorità giudiziaria.

 

L’aver equiparato l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata (quand’anche redatti su supporto informatico: v. artt. 47-bis L. 89/1913, 21, comma 2-ter e 25 D. LGS. 82/2005) al documento sottoscritto digitalmente, relativamente ai profili di certezza e riferibilità del documento alle persone firmatarie dello stesso, potrebbe essere criticabile, dal momento che per i documenti sottoscritti con firma digitale, ancor meno rispetto a quelli cartacei (ove una firma falsa può essere scoperta), non v’è garanzia alcuna che il dispositivo di firma sia stato utilizzato proprio dalla persona che si mostra firmataria del documento (né, tanto meno, si può ritenere probabile che la parte abbia compreso i termini e la portata del negozio che va a stipulare, differentemente dal caso dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, ove il notaio, nell’ambito del controllo di legalità, è anche tenuto, pure professionalmente, a spiegare la portata dell’operazione).

Tanto ciò è vero, che il Legislatore ha dovuto prevedere una presunzione relativa, al fine di evitare ovvie contestazioni. L’art. 20, comma 1-ter D. LGS. 82/2005 prevede che «L’utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale si presume riconducibile al titolare di firma elettronica, salvo che questi dia prova contraria».

Comunque, ove mai si dovesse avere un ripensamento su questa scelta, sarebbe ragionevole far riferimento alle garanzie portate dall’atto pubblico o scrittura privata autenticata, anche in termini di legalità sostanziale, potendo magari lasciare la scrittura privata semplice, sottoscritta con firma digitale, ai casi meno importanti (per es., limitando l’importo massimo garantito).

 

Le informazioni che sono riportate nel titolo andranno riportate nella domanda di iscrizione.

In effetti, il D.M. 114/2021 utilizza, in generale, una locuzione che consentirebbe di inserire nella domanda di iscrizione anche ulteriori informazioni rispetto a quelle presenti nel titolo, alla condizione che ciò non sia in difformità da quest’ultimo e, in secondo luogo, salvo che il D.M. stesso preveda che una certa informazione, in tanto può essere inserita nella domanda, in quanto sia presente nel titolo.

L’art. 3, comma 2, alinea D.M. 114/2021 prescrive che: «Nella domanda di iscrizione sono indicati, in conformità al titolo:». È allora la locuzione «in conformità» che mi fa pensare alla possibilità di inserire elementi ulteriori, rispetto a quanto indicato nel titolo, diciamo a completamento delle informazioni richieste. Mi viene, per es., da pensare all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore, del datore del pegno e del creditore (art. 3, comma 2, lettera e) D.M. 114/2021).

D’altra parte, viene anche espressamente previsto che sia «facoltà delle parti indicare nella domanda di iscrizione ogni altro elemento ritenuto utile alla individuazione del bene, del credito o del rapporto» (art. 3, comma 3 D.M. 114/2021). In questo caso, poiché non si fa riferimento alla circostanza che tali informazioni siano presenti nel titolo, sembrerebbe possibile affermare che tale indicazione aggiuntiva sia legittima se non difforme dal titolo (in ossequio al disposto di cui al citato comma 2, alinea, dell’art. 3) e, in qualche modo, se non introduca essa stessa un elemento di novità (il che sarebbe non consentito, dato che si sostituirebbe al titolo). Per es., un conto è specificare (per es.) la forma di certi beni già indicati nel titolo; un altro, è specificare quali siano i beni indicati solo per appartenenza ad un certo magazzino (infatti, in questo caso, la specificazione potrebbe occultare nei fatti un ridimensionamento del raggio d’azione della garanzia).

È inoltre previsto (art. 3, comma 5 D.M. 114/2021) che il titolo possa essere redatto insieme alla domanda per l’iscrizione, con sottoscrizione digitale delle parti14, in un formato che sarà definito col provvedimento di cui all’art. 7 (comma 1) D.M. 114/2021.

 

Fermo restando, comunque, che è il titolo il momento giustificativo del pegno, non può sottacersi che è solo con l’iscrizione che il pegno «ha effetto verso i terzi» e «prende grado ed è opponibile ai terzi e nelle procedure esecutive e concorsuali» (art. 1, comma 4 D.L. 59/2016).

È dunque importante stabilire come funzioni l’iscrizione del pegno e la sua difformità rispetto al titolo.

Non sembrano esserci regole specifiche per il RPNP. Per questo motivo, dovrebbe farsi riferimento alle regole già previste nel sistema della trascrizione e, in mancanza, a quelle che potrebbero ricavarsi dal sistema, per dargli coerenza rispetto alle finalità (si tratta di un sistema di garanzie).

 

Evidentemente, per capire quale sia l’informazione rilevante per i terzi occorre verificare cosa i terzi hanno il diritto (ed il dovere, nell’ottica del principio di autoresponsabilità) di visionare.

 

L’art. 10, comma 1 D.M. 114/2021 afferma che il «Registro pegni e la raccolta delle domande sono consultabili da chiunque per via telematica».

Pertanto, i terzi possono accedere alle informazioni tenute nel Registro pegni e alla raccolta delle domande.

 

A questo punto, vanno introdotte le distinzioni sulla base della terminologia adottata dal decreto ministeriale.

Per titolo, si intende l’atto costitutivo del pegno; per domanda, si intende il documento col quale si chiede l’iscrizione15 (facendo attenzione alla circostanza che, col provvedimento di cui all’art. 7, comma 1 D.M. 114/2021, saranno disciplinate le modalità con cui redigere il titolo unitamente alla domanda, ex art. 3, comma 5 D.M.  cit.); per formalità, si intende l’insieme delle informazioni iscritte che relativamente a quello specifico pegno non possessorio iscritto; per formalità accessorie, dovrebbero intendersi tutte quelle informazioni relative ad una data formalità, ossia: rinnovazione; cancellazione; annotazione.

 

Differentemente da altri sistemi di pubblicità (per le formalità nei Registri Immobiliari: art. 2673, comma 3 c.c.; richiamato, per quelle nei Registri dei beni mobili registrati, dall’art. 2695, comma 2 c.c.; per le formalità nel Registro delle Imprese: art. 101-bis att. c.c.), per il RPNP non è previsto che il conservatore possa rilasciare copia autentica degli atti depositati o iscritti (vi è invece un riferimento alle copie autentiche delle domande). Pertanto, mi sembra – ad oggi –, in relazione ai titoli pur trasmessi e conservati (rispettivamente, artt. 3, comma 1 e 9, comma 2 D.M. 114/2021), che il conservatore non possa essere considerato «autorizzato a spedire copia degli atti che detiene», e quindi obbligabile ex art. 743 c.p.c.

Tuttavia, quando si tratti di «atti giudiziari» (ad es., il provvedimento dell’Autorità giudiziaria in forza del quale è chiesta l’iscrizione del pegno non possessorio, ex art. 3, comma 4 D.M. 114/2021, ovvero il provvedimento definitivo con cui viene ordinata giudizialmente la cancellazione di una formalità, ex art. 5 D.M. cit.), il conservatore dovrebbe essere comunque tenuto a rilasciare copia autentica del titolo, ex art. 744 c.p.c.

Ancora, ed infine, qualora si proceda alla formazione del titolo unitamente alla domanda, come consentito dall’art. 3, comma 5 D.M. 114/2021, qualora le specifiche tecniche non consentano di distinguere nel corpo dell’atto la parte della domanda dalla parte del titolo, ne conseguirà che il conservatore rilascerà copia autentica (anche) del titolo, in quanto tenuto a rilasciare copia autentica della domanda (art. 10, comma 4 D.M. 114/2021).

 

Queste discrasie dovrebbero far riflettere sull’opportunità di prevedere il rilascio di copia autentica anche dei titoli trasmessi e conservati.

 

Ciò detto, ne deriva che le informazioni saranno opponibili ai terzi se presenti nelle relative formalità (e, chiaramente, nelle domande), senza poter fare riferimento al titolo.

Da aggiungersi che, poiché l’iscrizione non sana di per sé difetti, mancanze o irregolarità del titolo, sarà sempre quest’ultimo a determinare la validità o meno di un pegno non possessorio, sebbene regolarmente iscritto (tale conclusione mi pare conforme all’interpretazione della pubblicità nei Registri immobiliari).

Pertanto, in caso di discordanza tra quanto indicato nel titolo e quanto indicato nella relativa domanda, e quindi nella successiva formalità, dovrebbe affermarsi:

- se la difformità non comporti dubbi sulla riferibilità dell’indicazione inesatta al dato corretto indicato nel titolo16, si tratterà di un errore/omissione materiale non rilevante (salva sempre la possibilità di presentare richiesta di iscrizione di formalità accessoria, al fine di segnalare il refuso);

- se, invece, la difformità non sia icto oculi evidente, risultando indicato nel titolo qualcosa di diverso rispetto a quanto indicato nella formalità (nonostante si possa ragionare, caso per caso, sulla base del principio di apparenza e di affidamento), la conseguenza sarà l’inefficacia della formalità, in parte qua, in quanto iscritta, per questa parte, sulla base di un titolo non esistente (dato che l’indicazione riportata nella formalità, in realtà, non esiste nel titolo ed è, quindi, equiparabile a titolo inesistente).

 

Sembra emergere che il sistema pubblicitario sia a base personale, in quanto la formalità è relativa al soggetto (costituente il pegno non possessorio) piuttosto che al bene dato in pegno, vista anche la natura “flottante” della garanzia.

Prova ne sia anche che i criteri di ricerca sono personali. Dall’art. 10, comma 2 D.M. 114/2021, infatti, si ricava che le chiavi saranno: i dati identificativi (o i relativi codici fiscali) del debitore o del datore di pegno; i dati del richiedente.

Solo in via cumulativa, non alternativa, sarà possibile limitare la ricerca a specifiche categorie di beni.

 

Per le operazioni nel RPNP si applicano i diritti indicati nella Tabella allegata al D.M. 114/2021.

A titolo di esempio, la visura su un soggetto con l’apertura di una formalità costerà complessivamente euro 8 (di cui euro 5 per la consultazione dell’elenco sintetico delle formalità ed euro 3 per la consultazione per esteso di una delle formalità iscritte).

 

Preso atto di quanto sopra, si passi allora ad esaminare una prima deroga alla regola di cui all’art. 1, comma 4 D.L. 59/2016, per il quale dal momento dell’iscrizione del pegno non possessorio, esso «prende grado ed è opponibile ai terzi».

 

Per spiegare la deroga, sembra utile proporre la vicenda fattuale che potrebbe esserne alla base.

Si immagini che siano dati in pegno non possessorio dei beni facenti parte del capitale circolante di un imprenditore.

Venduti tali beni, col corrispettivo ricavato si acquista un macchinario industriale necessario al processo produttivo; in forza dell’art. 1, comma 2, quarto periodo D.L. 59/2016, il pegno «si trasferisce» «al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo».

Si immagini, però, che chi aliena tale macchinario, ovvero chi ne finanzi l’acquisto, se ne riservi la proprietà oppure si faccia garantire il prezzo mediante la costituzione di un pegno, ordinario oppure non possessorio, sul bene stesso.

Messo da parte il caso dell’acquisto con riserva di proprietà (in effetti, poiché con il patto di riservato dominio il venditore rimane proprietario fintantoché non sia pagato interamente il prezzo, non sussiste dubbio che il pegno non possessorio non possa trasferirsi su tale bene, fino a quando non ne sia pagato il corrispettivo), ove non potevano esserci dubbi sulla inopponibilità, rispetto al venditore, del precedente pegno non possessorio, va analizzato il caso in cui sia costituito il pegno, anche non possessorio, successivamente, sul bene determinato, destinato all’esercizio dell’impresa.

In questo caso, la regola avrebbe voluto, per il principio di priorità, che il primo pegno non possessorio, anteriore, prevalesse sulla garanzia, possessoria o no, del secondo creditore (ossia colui che ha finanziato l’acquisto del bene e che non risulti proprietario dello stesso).

Invece, sempre al fine di incoraggiare gli investimenti e la mobilità dei capitali, si prevede, al comma 5 dell’art. 1 D.L. 59/2016, che «il pegno non possessorio, anche se anteriormente costituito ed iscritto, non è opponibile a chi abbia finanziato l’acquisto di un bene determinato che sia destinato all’esercizio dell’impresa e sia garantito da riserva della proprietà17 sul bene medesimo o da un pegno anche non possessorio successivo, a condizione che il pegno non possessorio sia iscritto nel registro in conformità al comma 6 e che al momento della sua iscrizione il creditore ne informi i titolari di pegno non possessorio iscritto anteriormente».

 

L’aver subordinato l’opponibilità del secondo pegno, se non possessorio, al fatto che il creditore ne informi i titolari del pegno non possessorio iscritto anteriormente, potrebbe essere di non lineare semplicità, poste le possibili eccezioni opponibili che si potrebbero dare, in tema di impossibilità di venuta a conoscenza della comunicazione, di errore nella trasmissione o nell’indirizzo di comunicazione, etc.

 

Nella domanda per l’iscrizione del pegno non possessorio (art. 3, comma 2, lettera o) D.M. 114/2021), ove ricorra questa speciale ipotesi, si dovrà indicare che il bene, per il quale si stia chiedendo l’iscrizione del (secondo) pegno non possessorio, sia già gravato da altro pegno non possessorio. Chiaramente, poiché questa è un’indicazione della domanda per l’iscrizione del pegno non possessorio, a rigore l’unico caso in cui si utilizzerà tale indicazione sarà quello in cui chi ha finanziato l’acquisto vedrà garantirsi il suo credito con l’iscrizione di nuovo pegno non possessorio su tale bene determinato. Invece, nel caso in cui chi finanzia l’acquisto si garantisca con la riserva di proprietà, non si presenta una domanda per l’iscrizione di un successivo pegno non possessorio (ovviamente).

Né sembrerebbe disciplinata quest’altra particolare ipotesi: un soggetto concede in pegno non possessorio un bene acquistato con riserva della proprietà. In questo caso, non essendo il costituente ancora titolare del bene, non potrebbe concederlo in garanzia (al massimo, si dovrebbe considerare una costituzione sotto condizione sospensiva dell’acquisto della proprietà). Inoltre, a conferma del fatto che chi ha scritto la disposizione non facesse riferimento a questa ipotesi, v’è da dire che nell’indicazione ci si dovrebbe riferire al fatto che il bene sia già gravato da pegno non possessorio: allora il caso (anomalo) sarebbe solo questo: un soggetto dà in pegno non possessorio certi beni; venduti tali beni, acquista con riserva della proprietà un bene determinato; quindi concede in (secondo) pegno non possessorio lo stesso bene.

 

L’art. 1, comma 6 D.L. 59/2016 stabilisce che «L’iscrizione deve indicare il creditore, il debitore, se presente il terzo datore del pegno, la descrizione del bene dato in garanzia e del credito garantito secondo quanto previsto dal comma 1 e, per il pegno non possessorio che garantisce il finanziamento per l’acquisto di un bene determinato, la specifica individuazione del medesimo bene».

I dati che devono essere inseriti nella domanda per l’iscrizione, e che quindi poi risulteranno dalla medesima, sono disciplinati dal più volte citato art. 3, comma 2 D.M. 114/2021, al quale si rinvia (molte delle lettere, in verità, sono state sin qui già richiamate).

Si ricorda che, fra le varie informazioni, risulta necessario indicare la «categoria merceologica cui appartengono» i beni gravati da pegno non possessorio, secondo un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate, da adottarsi entro sessanta giorni dalla pubblicazione del D.M. 114/2021 in Gazzetta Ufficiale.

Pertanto, anche questa ulteriore attuazione osta alla pronta attivazione del RPNP.

 

L’iscrizione del pegno non possessorio, che ha effetti costitutivi rispetto ai terzi, ha una durata limitata.

Essa conserva il suo effetto per dieci anni.

È rinnovabile, mediante nuova iscrizione prima che sia decorso tutto il relativo termine di scadenza.

L’art. 4 D.M. 114/2021 spiega che per la rinnovazione è necessario presentare una nuova domanda, conforme a quella originaria, con la quale «si dichiara che si intende rinnovare l’iscrizione originaria».

Ove non si proceda a rinnovazione prima della scadenza, non per questo viene meno il diritto di procedere a nuova iscrizione, sulla base del medesimo titolo, come anche ricordato dal comma 2 del citato art. 4.

 

Ancora l’art. 1, comma 6 D.L. 59/2016 prevede che «La cancellazione della iscrizione può essere richiesta di comune accordo da creditore pignoratizio e datore del pegno o domandata giudizialmente».

In effetti, parrebbe non consentita la cancellazione del pegno non possessorio se non col consenso anche del datore del pegno.

Sul punto, invece, l’art. 5 D.M. 114/2021 richiede, quali formalità per la cancellazione del pegno non possessorio dal RPNP, l’atto «contenente il consenso del creditore» (ovvero il provvedimento definitivo con cui la cancellazione sia ordinata giudizialmente), disinteressandosi del consenso del datore del pegno.

Poiché il pegno non possessorio, anche se configurato come diritto assoluto non reale, nel momento fisiologico del rapporto di garanzia (come pure qui si è brevemente indicato essere una delle strade plausibili), resta comunque un “peso” (meglio, uno svantaggio) nei confronti del datore del pegno, si sarebbe potuto evitare di chiedere anche il consenso del datore del pegno, al fine della cancellazione del medesimo dal RPNP.

Letteralmente, pertanto, il Conservatore del RPNP non dovrebbe eseguire la cancellazione del pegno sulla base del solo consenso del creditore.

Una strada pratica potrebbe essere quella di inserire, di default, nel titolo costitutivo, il consenso del datore del pegno, ora per allora, all’eventuale assenso del creditore ad una futura cancellazione. Tuttavia, al di là del fatto che essa diverrebbe clausola di stile, rimane la circostanza che in questo caso il consenso del datore del pegno sarebbe astratto, non riferibile ad uno specifico momento in cui si provvederà a chiedere la cancellazione del pegno. E, per questo motivo, potrebbe rivelarsi inutile.

 

L’art. 6 D.M. 114/2021 consente l’annotazione (formalità accessoria) di «tutte le vicende modificative del rapporto e della garanzia di cui viene chiesto l’inserimento nel Registro pegni» ma in nessuna parte del decreto, né del D.L. 59/2016, si specifica quali siano le vicende che possano o debbano essere pubblicizzate.

Per questo motivo, riterrei che l’articolo in esame sia la prova dell’accoglimento (almeno in questo sistema pubblicitario, ma come conseguenza del riconoscimento dell’esistenza del medesimo anche presso gli altri sistemi) del principio di completezza delle informazioni presenti nei Registri pubblici, per cui qualsiasi informazione possa essere di rilievo, per i terzi, ha dignità di inserimento nel Registro di riferimento.

 

L’art. 7 D.M 114/2021 regola i provvedimenti di attuazione del decreto stesso, indicando, al comma 2, primo periodo, che per la registrazione dei titoli, relativi al pegno non possessorio, si procederà (esclusivamente) in via telematica.

 

L’art. 8 D.M. 114/2021, sul quale in questa prima fase non ci si sofferma in maniera approfondita, regola i poteri del Conservatore del RPNP.

Il Conservatore dirige l’Ufficio (in Roma) che tiene il RPNP ed è nominato dal direttore dell’Agenzia delle Entrate (art. 1 D.M. 114/2021).

Il Conservatore «verifica la presenza delle condizioni richieste per il relativo inserimento nel registro».

Poiché la sola formula non riesce a precisare che tipo di controllo sia svolgibile dal Conservatore (di legalità sostanziale o solo formale), si ritiene il punto meriti un approfondimento a parte.

 

Parimenti in altra sede si procederà ad una lettura dei commi 7 ss. dell’art. 1 D.L. 59/2016, relativi alle modalità e casi di escussione del pegno non possessorio.

 

 

 

 

Aggiornato il 4 settembre 2021.

 

 

NOTE

[1] Prova ne sia il fatto che il D.M. 114/2021, all’art. 3, comma 2, lettera s), (mi pare:) correttamente prevede che il patto di rotatività sia eventuale («ove previsto»).

 

[2] Si intende qui per “bene” qualsiasi cosa idonea ad essere oggetto di diritti (patrimoniali), anche quando non sia in proprietà esclusiva (es., il diritto di usufrutto su una quota sociale).

 

[3] Si parlerà infra, ma sbrigativamente, della possibile natura giuridica del pegno non possessorio.

 

[4] Per spiegarci. Si ipotizzi che un imprenditore costituisca un pegno non possessorio avente ad oggetto un certo quantitativo di metallo prezioso, con la conseguenza che il pegno si trasferisce sopra i gioielli derivanti dalla trasformazione di quello. Se non vi fosse un importo massimo garantito, si avrebbe che il creditore potrebbe soddisfarsi – dipendendo ciò solo dal momento in cui si avrebbe la “cristallizzazione” – sul valore del metallo prezioso, all’inizio del processo produttivo, ovvero sul ben più alto valore dei gioielli, alla fine dello stesso.

 

[5] Tanto ciò sembra vero, che quando si è voluto far riferimento ai crediti garantiti si è semplicemente parlato di credito inerente all’esercizio dell’impresa.

 

[6] Come si vedrà poi, invece, quando (come è consentito) si preveda che l’oggetto del pegno non possa essere trasformato o alienato, mi pare si debba rinunciare a seguire il ragionamento per cui questa situazione giuridica non sia un diritto reale. Conseguentemente, si tratterà di un (nuovo) diritto reale, che si distingue dal pegno perché – come l’ipoteca – non è previsto lo spossessamento per la nascita del diritto.

 

[7] Si evita di ripetere “o del debitore”, in quanto la facoltà è attribuita comunque a chi costituisce il pegno (essendo il titolare della cosa data in pegno), sia questi anche il debitore o meno.

 

[8] Si veda quanto sopra riportato in merito al fatto che, tecnicamente, a mio giudizio non si tratta dello spostamento di un diritto reale da una res ad un’altra quanto, piuttosto, lo spostamento della possibile “area di messa a fuoco” del pegno, la cui effettiva cristallizzazione (ossia, la “messa a fuoco”) si avrà con la notificazione dell’intimazione, ex art. 1, comma 7 D.L. 59/2016.

 

[9] Non si applica, dunque, qui, il ragionamento del bene futuro. Non si tratta, insomma, di dover aspettare la venuta ad esistenza del prodotto finito, affinché si possa considerare “passata” la garanzia da un bene ad un altro. La garanzia ha sin da subito ad oggetto la materia prima, e costantemente copre tutti gli sviluppi, materiali (trasformazione) e civilistici (disposizione), della stessa.

Differente (se ne è parlato prima) è invece il caso della dazione in garanzia di un bene futuro (in quel caso, si applica il meccanismo di cui all’art. 1348 c.c., in relazione però al solo momento della cristallizzazione, e non della costituzione, come sopra sempre detto).

 

[10] Si intende che il pagamento avviene con strumenti diversi dal contante, che comportano solo una variazione (in positivo) nei conti correnti dell’imprenditore.

 

[11] Si noti che non rientrano tra i beni mobili registrati le azioni e, soprattutto, le «partecipazioni» (così, l’art. 3, comma 2, lettera i), numero 6) D.M. 114/2021). Se è vero che non è specificato di quali partecipazioni si tratti, è altresì vero che il termine pare includa le partecipazioni in srl/srls ovvero in società personali, sebbene iscritte al Registro delle Imprese. Un motivo, dunque, per escludere che queste partecipazioni siano considerate oggi come beni mobili registrati?

 

[12] Principio riconosciuto anche nella prassi societaria ove, al momento in cui si attua un concambio di partecipazioni nell’ambito di operazioni di fusione o scissione, si sostiene che l’eventuale vincolo pignoratizio gravante la partecipazione annullata, da concambiare, si trasferisca sopra la partecipazione da ricevere in concambio (v. Massima del Consiglio notarile di Milano n. 64 e Massima n. 66).

 

[13] Provvedimento autonomo rispetto agli altri due, di cui rispettivamente al comma 1 e al comma 2, secondo periodo dell’art. 7 D.M. 114/2021.

 

[14] Dall’esame letterale parrebbe che questa modalità sia stata pensata per il solo caso in cui il titolo sia sottoscritto con firma digitale, ex art. 24 D. LGS. 82/2005.

 

[15] Chiamato anche «nota di iscrizione», nell’art. 1, comma 7-ter, terzo periodo D.L. 59/2016.

 

[16] Se invece il dato corretto sia indicato nella domanda di iscrizione mentre ad essere errato è il dato nel titolo, la conclusione mi pare essere:

- ove l’errore nel titolo sia un mero errore/omissione materiale, e sia evidente invece quale sia il dato corretto, tale discordanza non avrà rilievo (salva sempre la facoltà di presentare una domanda di iscrizione di formalità accessoria);

- ove, invece, l’errore non sia icto oculi rilevabile, come indicato anche nel corpo del testo nel caso opposto in cui il dato corretto sia nel titolo, la conseguenza sarà l’inefficacia della formalità, in parte qua. In più, poiché in questo caso il dato nel titolo è sbagliato, andrà modificato quest’ultimo.

 

[17] In effetti, chi ha scritto questa parte della disposizione sembrerebbe aderire alla tesi che ritiene la “riserva della proprietà” una forma di garanzia del venditore della cosa, che ne perderebbe dunque, sin da subito, la titolarità, a favore dell’acquirente, che sarebbe il vero proprietario.

Si consideri che, ad oggi, questa non parrebbe la teoria prevalente.